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Altro articolo redatto dal nostro collaboratore "Louboyle", il quale una ne fa e cento ne pensa. Dalla sua vastissima collezione ha tirato fuori quest'altro pezzo della storia slottistica italiana, che ci riporta ai tempi di quando non avevamo pensieri, se non quello di cercare di superare l'auto di Papà.
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DROMOCAR: la Policar scala 1/43

C’era una volta l’esigenza di portare lo slot nelle case di chi non aveva molto posto a disposizione: l’unica risposta possibile era quella di ridurre le dimensioni delle piste e, conseguentemente, quella dei modelli abbinati. Pare che la statunitense Tyco, scala 1/64, non concedesse l’uso del suo micromotore Mabuchi, che anni dopo ritroveremo sulle Polistil serie HP e successivamente sui kart Ninco, perciò nel gruppo Politoys si scelse di utilizzare la scala 1/43, potendo quindi contare su un’ampia disponibilità di modelli già realizzati in forma statica, sia in plastica sia in metallo. Nacque quindi la serie Dromocar, semplice nella sua realizzazione ma non più di tanto.

dromocar

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In queste due immagini vediamo la riproduzione della LOLA FORD del 1964, numero di serie a me sconosciuto perché la carrozzeria non riporta al suo interno alcun identificativo. La numerazione “DN” apparirà infatti con la seconda serie di modelli Dromocar anni dopo.
Sottolineo il fatto che, nonostante le semplificazioni, non si rinunciava ai fanali trasparenti e al montaggio degli specchietti esterni, lasciando in piena vista la meccanica: il compromesso nasceva dal fatto che non si voleva rinunciare allo spirito della specialità, eleganza e meccanicità. Nella serie successiva tali particolari spariranno e le vetrature verranno opacizzate.
Con questa serie viene introdotto il monotelaio adattabile a diverse carrozzerie e tale monotelaio risulterà intercambiabile anche con i modelli della seconda serie.
Sarebbe bello poter raccontare che c’era questo e quel modello: purtroppo per me questa prima serie risulta sconosciuta e questo modello, che pare essere stato classificato nella realtà come GT piuttosto che Sport, è l’unico della mia collezione. Se però googgate “Policar” troverete l’elenco completo dei modelli e le relative foto, tranne la “sorpresa” che vi voglio fare alla fine.

dromocar

Svitando una vite e aprendo l’incastro posteriore si accede al “cuore” della slot, assolutamente elementare nella sua esecuzione e tuttavia estremamente sofisticato in quanto in grado di soddisfare le specifiche richieste all’epoca.

dromocar

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In queste due immagini possiamo già notare come l’asse posteriore fosse vincolato ad un apposito telaietto, qui di colore chiaro, indipendente dal telaio principale e vincolato allo stesso mediante due incastri (anche sul motore) e due viti. Non è possibile estrarre l’assale completo dal telaietto: evidentemente non si parlava ancora di modifiche prestazionali!

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Questo è il telaio principale: l’assale anteriore non è estraibile e presenta ruote metalliche uguali a quelle della serie statica Politoys con gomme morbide. La misura complessiva è di 3 x 13 mm.

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L’assale posteriore presenta invece cerchi in plastica a gola dotati di gomme da 3,5 mm di sezione e un diametro di 15 mm. Altri tempi!

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Il pick-up è il più elementare possibile, un perno in nylon alto 6 mm diametro 1,8 mm.

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Le spazzole, fissate con vite agli occhielli dei fili di alimentazione e solidali al telaio, si trovano più o meno ai lati del perno.
Cuore della slot è questo motore marcato Policar mod 2 simile al predetto mini Mabuchi come concezione ma grosso una volta e mezza circa. L’indotto, con asse accorciato, è identico e sostituibile con quelli che verranno successivamente montati sul Mabuchi standard o cassa corta. E aggiungo che nella serie successiva della Dromocar i motori provvisti di un coperchio verde erano dotati di un indotto con filo da 8 centesimi mentre quelli col coperchio rosso, detti “Testarossa”, avevano l’indotto con filo maggiorato a 10 centesimi, primo esempio di tuning, seppur involontario e pure in grande serie.

dromocar

Nell’esploso del motore si notano i magneti incollati alla cassa e le spazzole metalliche prive di carboncino: le placchette che si vedono sulle astine di rame sono di argento, tuttora valide. Tale soluzione non sporca più di tanto il collettore.

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L’ultimo dato descrittivo di questa Dromocar sono le dimensioni, apprezzabili da questa immagine: 90 mm di lunghezza, 36 di larghezza e 16 di altezza (come potete immaginare fumo le 100).
Parlavo prima di una sorpresa: pare che anche nel sito ufficiale della Policar manchi l’immagine della DN725, ovvero la 313 meglio nota come auto di Paperino

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è lì a sinistra…

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Questi due modelli sono un po’ anomali rispetto a quanto siamo abituati a vedere ma fanno parte della seconda serie Dromocar sebbene siano dotati di un telaio esclusivamente dedicato al modello stesso, più corto dello standard.

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Tutte le componenti sono identiche alla prima serie ma compaiono le ruote posteriori in plastica piena con un anello di gomma facente funzione di pneumatico mentre all’anteriore, essendo arrivata la moda delle ruote a basso attrito (ricordate le Bruciapista della Mattel?), un filo di acciaio vincola due semplici dischi di plastica.

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Della seconda serie Dromocar facevano parte svariati modelli ripresi sempre dalle statiche della serie Politoys 1/43 in metallo, delle sport di fine anni ’60. Ne avevo alcune, oggi scomparse, così mi limito a citare a memoria: Alfa 33/2 coupè coda lunga, Lola T70, Ferrari Dino Pininfarina (quella coi 2 alettoncini fronte e retro) e la Panther di Bertone (che sul sito danno come mai prodotta). In questa seconda serie tutto il telaio era in pezzo unico e gli assali erano sostituibili facilmente: davanti si montava l’assale a basso attrito della Majorette formula, dietro le ruote Policar 1/32 a gola cava con pneumatico tornito a 18mm, si montava il Testarossa e si schizzava via in pista senza se, senza ma e senza le indispensabili stranezze odierne: si andava col pollice perché il grilletto sul comando era ancora di là da venire. E poi tirando via dal telaio la parte a sbalzo posteriore si otteneva una base per montare carrozzerie di monoposto F3, Chevron, March e Ralt, realizzate con carta e scotch colorato, con le gomme ancora più ribassate.

Che tempi, che tempi… anche sul giro!

Saluti da Louboyle

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